Binda (società)
Tipologia Fondo
Data cronica
- 1843-1967
Contenuto
- L'Archivio Binda è composto da documenti raccolti e conservati da Cesare Binda.
Questi documenti sono stati prodotti da diversi enti e costituiscono attualmente sezioni diverse dell'archivio. Gli enti produttori sono: la famiglia Binda, l'Industria Bottoni Ambrogio Binda, la Cesare Binda s.r.l., l'Amministrazione Stabili Binda.
Inoltre sono conservati alcuni documenti provenienti dalla famiglia di Rosa Peduzzi, moglie di Cesare Binda.
Insieme all'Archivio Binda sono inoltre conservati un fondo librario e un campionario di bottoni. Il fondo librario è costituito da libri e opuscoli, prevalentemente di argomento militare, di Cesare Binda.
Consistenza rilevata
- Tipologia
- metro/i
- Quantità
- 10
- Consistenza (testo libero)
- 506 unità archivistiche in 54 buste (52 buste dell''archivio Binda e 2 buste dell'archivio famiglia Peduzzi
Storia istituzionale/Biografia
- Il periodo dell'industrializzazione milanese coincide con quello delle vicende più importanti della famiglia Binda e delle sue due industrie: le Cartiere Binda e l'Industria Bottoni Ambrogio Binda.
Ambrogio è il fondatore di entrambe le industrie che fanno capo alla famiglia Binda. I suoi due figli, Carlo e Cesare, si suddividono tra loro il patrimonio industriale della famiglia, legando così i destini dei due rami della famiglia a quelli delle due imprese. Alla discendenza di Carlo rimane la gestione delle Cartiere Binda, a quella di Cesare la gestione del Bottonificio.
Ambrogio Binda nacque a Milano il 15 febbraio 1811 da genitori poverissimi. Il padre, Gaetano Binda, morì dopo cinque anni e la madre, Teresa Aspersioni, lasciò il figlioletto orfano alla tenera età di sette anni.
All'età di nove anni Ambrogio Binda entrò, come operaio, nella fabbrica di passamanerie di Vigoni e vi restò fino al 1829. In quell'anno, con i risparmi accumulati, comperò due vecchi telai e iniziò la produzione di galloni d'oro per la Ditta Casati di Milano insediandosi nel Coperto dei Figini.
In seguito Binda decise di provare a produrre bottoni in legno ricoperti da quadratini di stoffa, industria di cui l'Inghilterra aveva il monopolio.
Nel 1842, per poter ampliare la produzione, Ambrogio Binda trasferì l'attività in un edificio a Ponte San Celso, ma anche questa soluzione si rivelò ben presto poco idonea a soddisfare le sempre crescenti richieste del mercato.
Nel 1847 lo stabilimento ottenne la qualifica di Imperial Regia Fabbrica, con le prerogative connesse, e all'Esposizione universale di Parigi dello stesso anno ottenne il riconoscimento della "grande medaglia". In quell'anno il bottonificio impiegava 145 operai e 146 telai a mano e, nonostante il salto quantitativo di macchine e manodopera, si configurava ancora come un'azienda artigianale il cui fondo di esercizio annuale era di appena 400 lire austriache.
Nello stesso anno venne anche ultimata la costruzione del nuovo palazzo di famiglia, ancora oggi esistente, con annessa fabbrica in corso di Porta Romana 122, ad opera dell'ing. Girolamo Rovaglia. Si tratta di un edificio con pianta ad "U" costituito da scantinato, piano terra e tre piani. Lo stile tardo neoclassico e il gusto decorativo dei particolari non lasciano presagire l'attività manifatturiera che vi si svolge. L'unico riferimento è la protome umana raffigurante Mercurio, dio protettore dei commerci, nella chiave di volta del portone ad arco. La parte di edificio in cui si trovava la fabbrica è andata quasi completamente distrutta dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale e al suo posto sorgono oggi delle abitazioni.
Secondo l'"Eco della Borsa" la fabbrica di bottoni di stoffa di Ambrogio Binda era uno dei più industriosi opifici di Milano e l'unico di questo genere in Italia. Negli anni precedenti al 1850, malgrado la moda avesse moltiplicato l'uso dei bottoni a gambo flessibile, essi provenivano dall'Inghilterra e dalla Prussia. Ambrogio Binda, "passamantiere", mandò in Francia e in Inghilterra Carlo Grugnola, suo rappresentante, per imparare i metodi di fabbricazione. E questi, non potendo avere disegni delle macchine utilizzate, le memorizzò per poi riprodurle al suo ritorno. Da un successivo viaggio in Svizzera, Francia e Inghilterra riportò operai specializzati che aiutassero quelli già attivi nella fabbrica di Ambrogio Binda.
Grazie ai bassi prezzi praticati e alla buona qualità del prodotto, il Bottonificio ottenne commissioni anche dai paesi in cui questi bottoni erano nati.
Alla fine degli anni Cinquanta la fabbrica, in cui lavoravano 600 addetti, disponeva di macchine moderne, copiate da modelli inglesi e prussiani.
Nel 1868 Ambrogio Binda concesse ai due figli maggiori, Carlo e Cesare, la procura generale per la gestione del bottonificio. Nel 1872 assegnò loro il 90% degli utili dell'azienda, la cui ragione sociale era Ditta Ambrogio Binda.
Alla morte del padre, nel 1874, Carlo e Cesare Binda ereditarono la gestione congiunta dell'azienda. Nel 1881 stipularono una convenzione, conservata in archivio, per la gestione della Ditta. La società in nome collettivo tra i due fratelli venne sciolta nel 1885. Come già anticipato, la gestione del bottonificio passò interamente a Cesare e ai suoi discendenti, mentre restò a Carlo, e al suo ramo della famiglia, la gestione della Cartiera Binda.
Nel 1900 Cesare Binda, nipote del fondatore, e Michelangelo Artini costituirono una società in nome collettivo denominata "Ambrogio Binda". Il 7 novembre 1906 la società venne sciolta e messa in liquidazione e contemporaneamente venne costituita la "Società Anonima Industria Bottoni Ambrogio Binda". Il bottonificio divenne, quindi, una Società per azioni i cui soci erano: Carlo Binda in nome proprio e con procura del padre Cesare Binda, Michelangelo Artini, Amerigo Ponti, Alberto Locatelli, Annibale Ghisalberti (Banca Commerciale Italiana) e Rodolfo Jacobovitz (Banca Commerciale Italiana).
Nel 1911 l'impresa si ingrandì con l'acquisto di uno stabilimento a Palazzolo sull'Oglio.
Cesare Binda, pronipote di Ambrogio Binda, e l'ing. Attilio Brovelli divennero Direttori generali nel 1920 e a partire dal 22 luglio 1926 Cesare Binda restò Direttore generale unico.
Gran parte della produzione dell'azienda è di tipo militare, sia per l'abbigliamento che per l'artiglieria. Nell'inventario si trovano infatti molti documenti riguardanti i rapporti tra il Bottonificio e l'Esercito italiano.
Nel 1942 lo stabilimento di Palazzolo sull'Oglio venne ceduto alla Industria Italiana Bottoni Sintetici (I.B.I.S.).
Nel 1947 il capitale sociale venne aumentato 3.750.000 lire.
Nel 1951, alle soglie della chiusura, il Bottonificio, con sede in viale Campania, dotato di mensa aziendale, disponeva di una potenza installata di 100 HP e aveva rappresentanze nelle principali città italiane (Torino, Bologna, Genova, Firenze, Roma, Napoli, Palermo) e presso le amministrazioni statali di Torino, Milano, Verona, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, La Spezia, Taranto.
Alla guida del Bottonificio, nel periodo in cui era una Società per azioni, dal 1906 al 1953, si sono avvicendate numerose persone ricoprendo le cariche di presidente, consiglieri e sindaci.
Presidente: Amerigo Ponti (1906-1927), Cesare Binda (1928-1953).
Consigliere delegato: Michelangelo Artini (1906-1920), Cesare Binda e Attilio Brovelli (1921-1925), Cesare Binda (1926-1953).
Consiglieri: Carlo Binda (1906-1919), Rodolfo Jacobovitz (1906-1915), Alberto Locatelli (1906-1927), Mino Gianzana (1916-1925), Carolina Locatelli Cambiaghi (1920-1927), Attilio Brovelli (1926-1927, 1947-1948), Giacomo Zonchello (1928-1946), Corrado Orazi (1928-1946), Gilberto Brovelli (1947-1951), Giuseppe Meroni (1949-giugno 1952), Irma Necchi (giugno-dicembre 1952).
Sindaci: Carlo Dragoni (1906-1926), Corrado Mangiagalli (1906-1927, 1932-1936), Guido Sacchi (1906-1919), Attilio Brovelli (1920, 1928-1946), Vittorio Vismara (1921-1922), G. B. Leoni (1923-1941), Antonio Villa (1927-1931), Renato Rognoni (1937-1952), Giuseppe Meroni (1942-1948), Carlo Carones (1947-1952), Luigi Crosio (1949-1952).
Nel 1952 il capitale venne portato a 15.000.000 ma nel 1953 l'Industria Bottoni Ambrogio Binda venne messa in liquidazione, principalmente per contrasti interni al Consiglio d'amministrazione e nonostante la decisa opposizione di Cesare Binda.
Storia archivistica
- L'Archivio Binda è stato depositato all'ISEC il 9 giugno 1997.
Ecco l'elenco di versamento redatto da Alberto De Cristofaro e Primo Ferrari:
1 - documentazione riguardante le cave, lettere, ricorsi, mappe, deliberazioni, 1830 - primi '900 circa
2 - documenti personali del capitano, poi maggiore, Cesare Binda: manuali e istruzioni per l'ufficiale d'artiglieria, cartine, corsi per gli ufficiali in congedo, 1815 - anni '30 circa
3 - lettere, ricevute, istromenti
4 - brevetti, imposte, acquisti immobiliari, contratti, inventari anni '20 - '30
5 - a) Società Saccarifera Lombarda: bilanci; documenti bancari: lettere, titoli, polizze; istromenti; b) corrispondenza, ricevute, carte personali, imposte
6 - corrispondenza, ricevute, documenti bancari anni '30 - '40
7 - Società Anonima Industria Bottoni A. Binda assemblee ordinarie e straordinarie, tasse, commessa per esercito anni '50
8 - ricevute, amministrazioni stabili Binda, documenti ricostruzione post-guerra, catasto, documenti fiscali (dichiarazioni), corrispondenza 1920-60
9 - libri, manuali e opuscoli di tattica e artiglieria militare appartenenti a Cesare Binda
10 - libri cassa, stipendi, imposte, conti di successione (documenti personali) 1910-40
11 - documenti notarili della famiglia Binda (e amministrativi)
12 - bilanci, conti pagati
13 - bilanci
14 - commesse militari, amministrazione case Binda, schede magazzino
15 - inventari, atti notarili, amministrazione stabili Binda 1930-40
16 - libri paga, commesse militari esaurite
17 - documentazione contabile e amministrativa, imposte, tasse
18 - bilanci 1937-52
19 - giornali cassa, manuali e guide
20 - documenti bancari
21 - documenti bancari, affitti, ricevute
22 - documenti notarili (fine '800), varie
23 - documenti banca (ricevute), fatture
24 - documenti banca (ricevute), fatture, bollette di consegna
25 - tasse verbale, aumento capitale, progetto, bilanci, onorificenze, corrispondenza
L'archivio prima del trasferimento all'ISEC
Poco o nulla sappiamo delle vicende di questo archivio prima del suo ritrovamento fortuito avvenuto nel 1997.
Possiamo ipotizzare che il materiale giunto fino a noi sia solo una parte di un archivio molto più grande, ora disperso o distrutto. È probabile che una parte delle carte, quelle riguardanti l'azienda, abbia subito la medesima sorte dell'edificio della famiglia Binda in cui la fabbrica aveva sede, raso al suolo dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Ciò che è giunto sino a noi è invece stato pesantemente danneggiato dalle pessime condizioni di conservazione. Le carte, infatti, da quando Cesare Binda non era più stato in grado di occuparsene, si trovavano in una cantina del palazzo della famiglia Binda in corso di Porta Romana 122, che aveva subito numerosi allagamenti.
Né le figlie, né i nipoti o altri parenti, come racconta una delle nipoti, Milena Albertoni, avevano la stessa passione del nonno Cesare per la conservazione dei documenti di famiglia e quindi tutto era stato accantonato e quasi dimenticato in cantina fino all'arrivo, qualche anno fa, di un gruppo di studenti.
Nel 1997, infatti, Concetta Brigadeci, insegnante di italiano e storia all'Istituto professionale per il turismo Bertarelli di Milano, situato in corso di Porta Romana, decide di sperimentare con i suoi studenti una ricerca didattica di "laboratorio con le fonti". Volendosi occupare del territorio circostante la scuola e del periodo dell'industrializzazione, si recano, cartine alla mano, a visitare i luoghi descritti nei testi consultati e si imbattono, a pochi passi dal loro Istituto, nel palazzo di corso di Porta Romana 122, ex sede del Bottonificio Binda. Qui, con l'aiuto di una zelante portiera, incontrano Carla Binda, figlia di Cesare, e vengono a conoscenza dell'esistenza, in cantina, delle carte dell'azienda.
Fortunatamente la professoressa Brigadeci comprende l'importanza di quei documenti e chiede aiuto e consiglio a Grazia Marcialis, archivista all'Isec: Carla Binda accetta di depositare presso l'Isec l'archivio finora conservato nella cantina, non potendo fare una donazione senza aver interpellato altri membri della famiglia ancora in vita e che potrebbero rivendicare diritti sull'archivio stesso.
Grazia Marcialis, Alberto De Cristofaro e Primo Ferrari si occupano personalmente del trasferimento dell'archivio e redigono un elenco di versamento, unico strumento di corredo esistente fino all'attuale redazione dell'inventario.
L'archivio è stato ritrovato in pessime condizioni di conservazione, danneggiato dall'acqua, dall'umidità, dalla muffa, in disordine, senza un possibile ordine apparente, privo di strumenti di corredo.
La cantina era umida e, probabilmente, aveva subito allagamenti. Molto del materiale presente è stato buttato prima del trasporto poiché irrecuperabile. Tutto ciò che poteva essere salvato è stato inserito in buste per essere trasportato all'Isec.
Poiché è subito apparso chiaro che le carte erano in totale disordine gli archivisti hanno inserito i fascicoli nelle buste accorpandoli "per materia" in base ad un primo sommario esame, che ha permesso anche la redazione dell'elenco di versamento. I documenti, così accorpati, sono stati collocati in un armadio del seminterrato dell'Istituto in attesa che l'archivio venisse riordinato.
Alcuni dei fascicoli si trovano tuttora in pessimo stato di conservazione proprio a causa delle condizioni in cui erano stati conservati e necessiterebbero di urgenti interventi di restauro; se ciò non avverrà non potranno essere disponibili per la consultazione, pena la loro distruzione.
Un primo tentativo di riordinamento, da parte di una studentessa avvenuto poco dopo il versamento all'Isec, subito interrotto, ha probabilmente portato ulteriore confusione in un archivio già in grande disordine. Questo intervento è consistito nell'inserimento dei documenti in camicie sulle quali era indicato un titolo non originario, rivelatosi poi spesso errato e fuorviante.
Dopo questo tentativo di riordino i documenti sono rimasti nel sotterraneo dell'Isec fino al 2004, quando è iniziato il lavoro di riordino di questo archivio e la redazione dell'inventario.
Poiché l'intervento precedente era stato minimo e di nessuna utilità, non se ne è tenuto conto in fase di riordino - sono state quindi eliminate le camicie non originali, dove possibile è stato indicato il titolo originario o ne è stato assegnato uno nuovo.
Dopo la morte di Carla Binda, avvenuta nel 1997, la figlia Milena Albertoni ha consegnato all'Isec anche un campionario di bottoni e alcune fotografie, i primi per essere ordinati e conservati, le seconde solo per farne copie.
Da un incontro avuto con la signora Albertoni è emersa l'esistenza di altri documenti, attualmente conservati dal fratello Francesco, relativi soprattutto alle proprietà immobiliari della famiglia.
Criteri di ordinamento e inventariazione
Il lavoro di riordinamento dell'archivio e di redazione dell'inventario è stato lungo e a tratti molto faticoso.
Le carte si presentavano contenute in 25 buste non originarie, il cui unico strumento di corredo era costituito dall'elenco di versamento. Inoltre erano disponibili la preziosa relazione di Concetta Brigadeci e i resoconti degli archivisti che si erano occupati del trasferimento dell'archivio.
Ad ogni fascicolo è stato assegnato un numero di corda provvisorio senza effettuare spostamenti all'interno delle buste.
Questa situazione di contaminazione tra archivio familiare e archivio dell'impresa è tipica degli archivi che si sono formati negli anni della prima industrializzazione proprio perché rispecchiano la struttura delle imprese del tempo. Come si evince dalla stessa biografia di Ambrogio Binda, non vi è distinzione tra famiglia e impresa, le due entità si sovrappongono e spesso si confondono. Forse proprio per questo l'archivio dell'impresa non era disgiunto, già in origine, da quello della famiglia.
Un nutrito gruppo di fascicoli, riguardanti soprattutto la proprietà di cave e di alcuni immobili, si riferivano a componenti della famiglia Peduzzi. Queste carte, in seguito al matrimonio di Rosa Peduzzi con Cesare Binda, erano probabilmente passate nelle mani di quest'ultimo ma continuavano ad essere un corpo ben distinto all'interno dell'archivio stesso, e costituenti quindi un archivio aggregato.
Un secondo gruppo di fascicoli, riguardanti immobili, erano stati prodotti dall'Amministrazione Stabili Binda, società che gestiva il patrimonio immobiliare della famiglia, e potevano essere quindi considerati una sezione dell'archivio diversa dalle carte familiari e da quelle del bottonificio.
Infine, rispetto alle carte aziendali, è emersa un'ulteriore suddivisione. Benché, nel corso degli anni, il Bottonificio Binda avesse modificato la propria ragione sociale la documentazione presentava caratteristiche omogenee, anche dal punto di vista dei caratteri estrinseci delle carte. Con la liquidazione del Bottonificio, però, avvenuta nel 1953, e la successiva costituzione della Cesare Binda s.r.l., c'è una netta frattura anche nelle caratteristiche della documentazione presente in archivio. Questo ha portato a distinguere due diverse sezioni dell'archivio corrispondenti alle due aziende che operano prima e dopo la cesura del 1953.
Si è così andata individuando un'articolazione dell'archivio in quattro grandi sezioni: le carte familiari, le carte della Industria Bottoni Ambrogio Binda, le carte della Cesare Binda s.r.l., le carte dell'Amministrazione Stabili Binda. E a queste poi si aggiungeva l'Archivio aggregato Famiglia Peduzzi.
Per quanto riguarda lo spostamento dei singoli documenti all'interno dei fascicoli, si è ritenuto di non dover mai effettuare questa operazione salvo in un caso: gli Statuti del Bottonificio Binda, in origine contenuti nel fascicolo 279 allegati al verbale di un'assemblea, sono stati scorporati e costituiscono ora un nuovo fascicolo (fasc. 187) all'interno della serie "Atti costitutivi, statuti, convenzioni familiari, modifiche societarie" (serie 2.1).
Proprio perché si è ritenuto di non dover effettuare spostamenti delle carte tra un fascicolo e l'altro, non tutta la corrispondenza presente nell'archivio si trova nella serie "corrispondenza". Alcune lettere, infatti, che si trovavano in altri fascicoli originali sono state lasciate nella loro collocazione, indicando nella descrizione dei rispettivi fascicoli l'eventuale presenza di corrispondenza e i nomi, quando identificabili, di mittente e destinatario.
Lo spostamento delle carte ha comportato la sostituzione della numerazione provvisoria assegnata in precedenza ai fascicoli con una nuova numerazione da 1 a 506 per l'Archivio Binda e di nuovo da 1 a 26 per l'Archivio aggregato Famiglia Peduzzi. Questa numerazione riguarda le singole unità archivistiche e non le unità di condizionamento. Queste ultime infatti non sono rilevanti ai fini del reperimento dei fascicoli poiché sul dorso delle buste sono indicati i fascicoli in esse contenuti.
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Stato di conservazione
- Note
- discreto